CRONACA DI UNA GIORNATA DEL CONGRESSO DI NESSUNO TOCCHI CAINO NEL CARCERE DI OPERA (di G. Criaco)

15 Gennaio 2020 :

QUEL GATTO IN PRIGIONE È PANNELLA REINCARNATO

di Gioacchino Criaco (Il Riformista, 24/12/2019)

Due giorni di discussione, venerdì e sabato al carcere di Opera: è il congresso di Nessuno tocchi Caino.

Si sta qui per parlare di diritto penale e di qualcosa che sia migliore del diritto penale per re­golare i rapporti fra gli uomini, di una via che non annichilisca le vite di chi sbaglia, e che non disperda l'umanità buona di cui ognuno è portatore. Un'onda calda avvolge tutti e Opera, la gatta di Opera che non si è persa nemmeno una delle parole pronunciate nel teatro, si accovaccia al centro del palco, smette di rincorrere i bicchieri che ha sottratto agli oratori e fissa gli occhi sui Palmesi.

I detenuti dicono che Marco non è mai morto, ha scelto di rimanere dentro, si è incarnato nella gatta di Ope­ra, e svanisce e poi torna dietro le sbarre, congiunge due mondi che non si parla­no se non per mezzo di creature strane e straordinarie, convinte che ci sia qualco­sa di migliore rispetto al diritto penale.

 

CRONACA DI UNA GIORNATA DEL CONGRESSO DI NESSUNO TOCCHI CAINO NEL CARCERE DI OPERA

SABRINA PARLA E PIANGE PERCHE’ CORRADO HA PIANTO. INTANTO IL GATTO…

Antonio si ricorda tutte le telefonate che ha fatto in questi 26 anni. Vito, dopo 23 anni, andrà in permesso e non dormirà, per paura di perdere le ore di libertà. Dico: deve pur esistere qualcosa di meglio del diritto penale! Caino? Qui dentro non c'è Caino.

C’è un nubifragio ostinato intorno a Milano, rancoroso di bibbia, l'acqua del cielo si unisce agli effluvi di una ter­ra umida. La Pianura raccoglie gli scrosci, li precipita sul penitenziario di Opera e la pioggia supera la sbarra mobile, s'infila di soppiatto oltre le porte, da un cancel­lo all'altro si fa passo silenzioso, percorre corridoi infiniti e beffarda intona la disa­mistade di De Andrè, per dire che non c'è un altro modo di vivere senza dolore. Dentro il carcere, per chi si chiede co­sa sia il carcere, il dolore è un sentimen­to fisico, un'acqua che informa gli uomini e uragano dopo uragano ne spazza le ani­me, canne umane la cui unica missione è non spezzarsi. Insieme alla pioggia nel carcere ci entra il freddo, si fissa nelle os­sa e le comanda anche in piena estate. Dentro fa sempre freddo, soffia perenne il gelo del maestrale e l'umidità tanfa pu­re se non c'è. Cancelli e corridoi, silenzi e tempi infiniti, scarpe pulite e facce pallide sono le divise dei detenuti e uno sguardo che è per tutti uguale. I giusti hanno ricacciato il male dentro enclave di cemento e acciaio e la Ong di Nessuno tocchi Caino è venuta a forare i muri, andando oltre la speranza di non farcela, per sperare ancora: Spes Contra Spem, nel mantra di Marco Pannella che dentro Opera risulta ancora vivo, mi­schiato ai presenti nella sala del teatro che porta il suo nome. Due giorni di discussione, venerdì e saba­to, per parlare di diritto penale e di qual­cosa che sia migliore del diritto penale per regolare i rapporti fra gli uomini, di una via che non annichilisca le vite di chi sbaglia, e che non disperda l'umanità buona di cui ognuno è portatore. Parlano Sergio D’Elia, Rita Bernardini, Elisabetta Zamparutti, segretario, presidente e tesoriere, vecchi e riconfermati, di Nessuno tocchi Caino.

Parlano Gherardo Colombo, Luigi Pagano, Mauro Palma. Parlano esperti e tecnici. Parlano i detenuti. Ci si alterna fra uno di dentro e uno di fuo­ri. Ecco, per chi vuol sapere cosa sia la ga­lera basta ascoltarli: fuori ci si dimentica al pomeriggio di cosa si sia fatto la mat­tina, dentro, Antonio spacca il tempo fi­no al microsecondo: sa quante telefonate ha fatto in 26 anni, quante lettere ha rice­vuto, quanti colloqui ha avuto, potrebbe elencare ogni suo capo d'abbigliamen­to dell'ultimo ventennio. Dentro, il nulla diventa essenziale, e l'essenziale è l'in­visibile agli occhi del Piccolo Principe: l'affetto, il coraggio, la tenacia. La certezza di non essere il macero per la carta. Stefano Castellino è venuto da Palma di Montechiaro, dove è sindaco, per ab­bracciare gli ergastolani suoi compaesani. "Sono anche il vostro sindaco", dice, cele­brano insieme la memoria della vita spez­zata di un grande e giovane magistrato, Rosario Livatino, e il fiato- manca a chiun­que si trovi nel teatro. Per un attimo sor­ge un sole meridionale che mette in fuga la pioggia, che inchioda ai muri il freddo. Un'onda calda avvolge tutti e Opera, la gatta di Opera che non si è persa nemme­no una delle parole pronunciate nel teatro, si accovaccia al centro del palco, smette di rincorrere i bicchieri che ha sottratto agli oratori e fissa gli occhi sui Palmesi. Raffaele cerca orecchie per perorare la causa di un suo compagno di pena che dopo 20 anni di 41bis era riuscito ad andare in permesso e ora, ar­rivando da un altro carcere, deve ri­cominciare dac­capo. Raffaele pure s'è fatto 16 anni di 41, su 34 passati dentro, non vede i figli da 15 anni. Li obbliga a non vederlo perché non vuole che le sue colpe ricadano su di loro: 5 figli laureati e sistemati, la sua impresa. Vito dopo 23 anni andrà in permesso per la vi­gilia di Natale. 2 giorni senza i quadretti delle sbarre a filtrare il cielo dai suoi oc­chi. Sa che non dormirà per la paura di tornare in carcere durante il sonno e di vedersi portata via una pausa al dolore in­seguita per 23 anni.

Sul palco è il turno di Sabrina, lei è di quelli di fuori, viene da Acireale, parla e piange perché prima di lei ha parlato e ha pianto Corrado, che è di quelli di dentro, che venerdì si è sentito meno solo perché c'era la sua compaesana. I detenuti dico­no che Marco non è mai morto. ha scelto di rimanere dentro, si è incar­nato nella gatta di Opera. Opera. e svani­sce e poi torna dietro le sbarre, congiunge due mondi che non si parlano se non per mezzo di creature strane e straordinarie, convinte che ci sia qualcosa di miglio­re rispetto al diritto penale. Che per mi­gliorare il carcere serva migliorare quelli di fuori, dargli la possibilità di essere mi­gliori, perché non sanno davvero quanto inutile dolore, oltre ogni necessità, ven­ga inflitto a quelli che stanno dentro. Non potranno mai sapere quanta selvatica pri­mordialità contengano i durissimi regimi carcerari di un Paese che si sente troppo buono.

Quelli di Nessuno tocchi Caino hanno dedicato 2 giorni di discussione nel car­cere di Opera perché la speranza di chi sta dentro vada oltre la spietatezza di una società ignava, che non vuole scoprirlo che dentro il carcere Caino non c'è.